Vecchia pellicola restaurata.
Karachi - Karimabad - le tombe di Chaukhandi - Lahore - Karakoram highway... buche - montagne e risate...
L’immensa Karachi si risolve in sabbia, scarichi di auto e caldo umido sotto il sole che frantuma i sassi. Un ragazzo si offre per leggergli il destino: la cocorita afferra un biglietto, uno dei tanti conficcati in una scatola bucherellata.
Non voglio sapere – gli risponde l’uomo.
Non voglio sapere – gli risponde l’uomo.
Autobus e camion, addobbati con disegni sacri, fiori, specchi e legni intarsiati, intasano la caotica stazione dei bus. Nella rappresentazione artistica dell’abbellimento, i passeggeri sono caricati all’interno dei mezzi, quindi esaurito lo spazio interno si procede ad assegnare porzioni del tetto. La partenza delle corriere richiama i ritardatari che si appendono alle porte, ai predellini, ai carichi sporgenti. Le tradotte colorate si spingono nel buco nero della città caotica.
Il gigante baffuto lo interroga con un sorriso: - Perché ti sei spinto fin qui? Hamed è difficile spiegare il motivo – risponde l’uomo – è come se il viaggiatore fosse alla continua ricerca di qualche cosa di misterioso – ci nutriamo di stelle, di universi immaginari – raramente incontriamo angeli schivi e non riusciamo a trattenerli.
Il gigante baffuto lo interroga con un sorriso: - Perché ti sei spinto fin qui? Hamed è difficile spiegare il motivo – risponde l’uomo – è come se il viaggiatore fosse alla continua ricerca di qualche cosa di misterioso – ci nutriamo di stelle, di universi immaginari – raramente incontriamo angeli schivi e non riusciamo a trattenerli.
L’energia è esplosa dal sottosuolo nella necropoli di Thatta, tra le tombe di Chaukhandi. Si è alzata verso gli strati superiori del terreno, trapassa la sua pelle fissandosi nel sentimento con una calda vertigine di sapienza. In quell’attimo lui ha la sensazione di rivivere la vita dei morti sotterrati.
Sospeso vicinissimo alle vette delle montagne imbiancate di neve, l’uomo sorvola un mare increspato dai monti diamantini del Karakorum e il Nanga Parbat domina il panorama. In basso le strade rigano i deserti d’alta quota, come serpenti di polvere fuggono dalla pianura risalendo la catena montuosa.
Nella scuola all’aperto gli allievi, con la testa rasata, lo osservano allibiti seduti sopra i sassi impilati. Le piccole lavagne sostituiscono i quaderni. Visi cinesi, visi mongoli, visi arabi. Nei villaggi polverosi, gli sguardi lo intrappolano in una rete annodata da mille domande inespresse. I bimbi hanno la fionda appesa al collo, ritorta come una croce deformata dalla ripetuta tensione dell’elastico.
L’imbarazzo lo rende muto.
Ridiscende le rive scoscese saltando sopra i sassi arrotondati dalla neve disciolta. Il monte Rakaposh vigila dall’alto dei suoi settemila metri. Nell’aria l’odore di fondo è un misto di tè, stoffe grezze, polvere e riso bollito.
L’imbarazzo lo rende muto.
Ridiscende le rive scoscese saltando sopra i sassi arrotondati dalla neve disciolta. Il monte Rakaposh vigila dall’alto dei suoi settemila metri. Nell’aria l’odore di fondo è un misto di tè, stoffe grezze, polvere e riso bollito.
La strada di montagna s’inoltra nella valle, incuneata tra monti maestosi, in un ambiente abnorme. Campo largo su di una valle che sembra non avere fine. Lento avvicinamento alle montagne altissime incappucciate di neve perenne. A destra dell’inquadratura il fiume scorre rumoroso: l’acqua di fusione dei ghiacciai è verde opaco.
La camera si muove. Risale la furia torrentizia indugiando nel punto preciso dove l’acqua abbandona l’invaso del lago, posto più in alto. Acqua e sassi enormi perfettamente levigati. Grigio lucido glaciale. La schiuma bianca si insinua tra le pietre e lambisce le sponde modellandole in perfette lastre levigate.
Un uomo appare a destra in basso, mimetizzato tra le rocce, genuflesso su di un tappeto da preghiera rivolto alla Mecca. Sopra la roccia enorme assomiglia a una formica arrampicata su di una palla da biliardo.
Carrellata in avvicinamento. Lo sguardo estatico dell’uomo è rivolto in un punto imprecisato tra le guglie della parete rocciosa. Suscita invidia per il senso profondo che trasmette il suo sguardo rapito.
La cinepresa scende lentamente. L’operatore è imbarazzato a spiare quel momento di semplice pace. L’inquadratura si abbassa sino a riprendere a tutto campo gli scarponi di cordura dell’osservatore. Il colore e la foggia dei calzari sono elementi estranei all’ambiente.
Poi l’immagine sfuma e si allontana in avanti dove “l’oltre” è altre vite.
La camera si muove. Risale la furia torrentizia indugiando nel punto preciso dove l’acqua abbandona l’invaso del lago, posto più in alto. Acqua e sassi enormi perfettamente levigati. Grigio lucido glaciale. La schiuma bianca si insinua tra le pietre e lambisce le sponde modellandole in perfette lastre levigate.
Un uomo appare a destra in basso, mimetizzato tra le rocce, genuflesso su di un tappeto da preghiera rivolto alla Mecca. Sopra la roccia enorme assomiglia a una formica arrampicata su di una palla da biliardo.
Carrellata in avvicinamento. Lo sguardo estatico dell’uomo è rivolto in un punto imprecisato tra le guglie della parete rocciosa. Suscita invidia per il senso profondo che trasmette il suo sguardo rapito.
La cinepresa scende lentamente. L’operatore è imbarazzato a spiare quel momento di semplice pace. L’inquadratura si abbassa sino a riprendere a tutto campo gli scarponi di cordura dell’osservatore. Il colore e la foggia dei calzari sono elementi estranei all’ambiente.
Poi l’immagine sfuma e si allontana in avanti dove “l’oltre” è altre vite.
Le case di pietra a tremila metri formano Karimabad; contornata da terrazzamenti coltivati, albicocchi in fiore e profumatissimi gelsomini. Il fondale è un verde brillante che s’interrompe nel grigio severo delle montagne. Voli di corvi, gazze e falchi. I villaggi sono perle di fango, screziati dagli alberi in fiore, assediati dallo spazio immenso delle aride valli del nord.
Per motivi strategici è severamente vietato fotografare i ponti. Nelle terre di confine, le terre di nessuno, transitano colonne di camionette di soldati. Nelle strade di montagna i posti di blocco sono improvvisi e improvvisati: spesso la sbarra è in realtà una canna di bambù con una rete metallica colma di sassi per contrappeso. Vicino ai posti di blocco le tende rattoppate danno forma al quartier generale e nell’attesa di eventi minacciosi i soldati ripristinano le strade. Le guerre in questi luoghi non sono mai terminate. Ingovernabili terre del Nord. Frontiere afgane, cinesi, indiane. “Territorio” è una definizione aleatoria, perde ogni significato nel continuo mutamento delle aree di confine. In prossimità della Cina, gli influssi culturali cinesi e tibetani sono entrati a far parte della vita quotidiana.
Per motivi strategici è severamente vietato fotografare i ponti. Nelle terre di confine, le terre di nessuno, transitano colonne di camionette di soldati. Nelle strade di montagna i posti di blocco sono improvvisi e improvvisati: spesso la sbarra è in realtà una canna di bambù con una rete metallica colma di sassi per contrappeso. Vicino ai posti di blocco le tende rattoppate danno forma al quartier generale e nell’attesa di eventi minacciosi i soldati ripristinano le strade. Le guerre in questi luoghi non sono mai terminate. Ingovernabili terre del Nord. Frontiere afgane, cinesi, indiane. “Territorio” è una definizione aleatoria, perde ogni significato nel continuo mutamento delle aree di confine. In prossimità della Cina, gli influssi culturali cinesi e tibetani sono entrati a far parte della vita quotidiana.
A Skardu le partenze degli aeroplani avvengono solo con il bel tempo. A causa della vicinanza delle montagne invisibili con le nebbie o la pioggia, i piloti procedono a “vista” senza l’ausilio dei radar. Il tono baritonale dell’elica toglie poesia alla poesia del panorama e gli uccelli fuggono spaventati dal rumore metallico.
La città vecchia di Lhaore si avvicina, scampanellante lievita dallo spesso strato di polvere e fumo. Città frenetica e spirituale, formicaio di auto, camion, pedoni, animali. I corvi volano a centinaia nella lastra appannata del cielo. L’aria offuscata è rigata dal moto vibrante degli aquiloni tesi alla brezza serale, semplici striature nel fotogramma sfuocato di una vecchia pellicola.
L’uomo e Hamed rientrano a Lhaore seduti sulle assi di legno di un tonga, trainati da un ronzino scheletrico.
Le biciclette cigolanti sono inforcate da lampi di jallabiye bianchissime. Gli ectoplasmi pedalano nel tramonto e il sole filtrato dallo smog è delle dimensioni di una moneta da cinquanta paisa.
I pakistani per strada scrutano il cielo e improvvisamente, dal profilo delle case, sorge la luna nuova. La folla si agita inizialmente in maniera composta quindi perde ogni ritegno ubriacandosi di festa. L’emozione è forte e i canti aumentano di intensità.
- Hamed – questa sera il muezzin ha una voce più solenne del solito – non ti pare?
Le urla distanti e i clacson impazziti risuonano senza tregua. Il cielo osserva curioso dai mille occhi luminescenti della magica stellata. La festa della fine del ramadan è contagiosa: grida di gioia e campanacci percossi instancabilmente. Lontano dalla piazza principale le case appaiono svuotate, le famiglie al completo sono scese in strada.
- Sai una cosa – sperduto in questa città dell’Asia immensa, in questo momento, rimpiango di non essere mussulmano – l’uomo confessa.
- Per noi è un momento importante – osserva Hamed – l’Eid-ul-Fitr.
La luna è attesa febbrilmente da giorni. Lo specchio di luce riporta normalità e rischiara Lhaore scossa dalla gioia tellurica. Nelle moschee della città fervono i preparativi per i prossimi cinque giorni di festa e la notte sudata è rumorosa di insetti impazziti. Il caldo incolla al letto. L’altoparlante di alluminio tiene sveglio l’uomo con le preghiere distorte.
L’uomo e Hamed rientrano a Lhaore seduti sulle assi di legno di un tonga, trainati da un ronzino scheletrico.
Le biciclette cigolanti sono inforcate da lampi di jallabiye bianchissime. Gli ectoplasmi pedalano nel tramonto e il sole filtrato dallo smog è delle dimensioni di una moneta da cinquanta paisa.
I pakistani per strada scrutano il cielo e improvvisamente, dal profilo delle case, sorge la luna nuova. La folla si agita inizialmente in maniera composta quindi perde ogni ritegno ubriacandosi di festa. L’emozione è forte e i canti aumentano di intensità.
- Hamed – questa sera il muezzin ha una voce più solenne del solito – non ti pare?
Le urla distanti e i clacson impazziti risuonano senza tregua. Il cielo osserva curioso dai mille occhi luminescenti della magica stellata. La festa della fine del ramadan è contagiosa: grida di gioia e campanacci percossi instancabilmente. Lontano dalla piazza principale le case appaiono svuotate, le famiglie al completo sono scese in strada.
- Sai una cosa – sperduto in questa città dell’Asia immensa, in questo momento, rimpiango di non essere mussulmano – l’uomo confessa.
- Per noi è un momento importante – osserva Hamed – l’Eid-ul-Fitr.
La luna è attesa febbrilmente da giorni. Lo specchio di luce riporta normalità e rischiara Lhaore scossa dalla gioia tellurica. Nelle moschee della città fervono i preparativi per i prossimi cinque giorni di festa e la notte sudata è rumorosa di insetti impazziti. Il caldo incolla al letto. L’altoparlante di alluminio tiene sveglio l’uomo con le preghiere distorte.
La Karakorum Highway è una linea di terra battuta, raramente asfaltata, ingioiellata di buche e sassi sembra rincorrere il tempo per poi perdersi in valli lunghe due vite di un uomo. Il popolo del nord è continuamente in movimento: nomadi su carri traballanti e camion ringhiosi. Le corriere coloratissime sono bardate con catene e stoffe, disegni e preghiere scritte a caratteri cubitali rivolte ad Allah. Driver, pastori, contadini, stradini scuri e baffuti, uomini di una resistenza incredibile. Le strade a strapiombo tolgono il respiro e arrancano dirupi per migliaia di metri.
L’autista si sposta poco lontano dalla jeep, si accovaccia e disincastrandosi pudicamente dal lungo abito, espleta i bisogni corporali. Risalito in macchina punta deciso l’agghiacciante altopiano senza fine. Con un driver si può arrivare ovunque, anche in paradiso se occorre. Guidano su strade appena sicure a piedi, viaggiano senza problemi e più che svolgere un semplice lavoro, il loro ruolo ha una precisa funzione sociale: sono il ponte culturale con gli occidentali. Attorno al lavoro degli autisti ruota l’economia povera di benzinai, guide locali, motel e bazar.
L’uomo rimaneva imbarazzato quando sentiva pronunciare “Sir”, nei suoi confronti, da labbra tanto fiere.
L’uomo rimaneva imbarazzato quando sentiva pronunciare “Sir”, nei suoi confronti, da labbra tanto fiere.
Le riflessioni canterine infoltiscono lo scarno albero di cinguettii e gli uccelli lo distraggono per un attimo. In un ramo il fiore del Pakistan, assediato dai vortici polverosi e dagli schiamazzi degli autobus impazziti, profuma di vita. Quel fiore bianco lo induce alla resistenza.
I Suoi penSieri eSausti Si diSSetano in uno Stagno di eSSe increSpate.
I Suoi penSieri eSausti Si diSSetano in uno Stagno di eSSe increSpate.